Il formaggio è un cibo delizioso e in Italia abbiamo una varietà di formaggi unica al mondo, migliore anche di quella tanto decantata della Francia. Per i vegetariani rappresenta una delle poche fonti animali di proteine consentite, ma anche per gli altri è un cibo gustoso, già pronto, disponibile a prezzi ragionevoli.
Una diffusa tradizione della nostra terra è quella di aggiungere un pezzo di formaggio alla fine di un pasto, anche di per sé già completo. Un adagio delle mie parti (Sergio Chiesa), diffuso in tutta la Lombardia, afferma:
La buca l’è mai straca fin che la sa mia da vaca.
La bocca non è mai stanca finché non ha sapore di mucca, cioè non si è veramente sazi finché non si mangia un po’ di formaggio.
Il formaggio è una fonte preziosa di proteine. La dottoressa Kousmine prevedeva nella crema Budwig qualche cucchiaio di formaggio a zero grassi, ovviando così ad uno degli inconvenienti (i grassi) che, come descriviamo di seguito, affliggono il formaggio.
La produzione del formaggio è anche uno dei più forti presìdi del nostro territorio montano. La splendida visione di pascoli e boschi che si susseguono sulle Alpi e sugli Appennini è mantenuta soltanto dalla cura costante del pascolo fatta dagli allevatori. Senza questo le nostre montagne sotto i 2.500 metri sarebbero una sterminata distesa di boscaglie incolte e avremmo un radicale spopolamento.
Il formaggio però ha un lato oscuro che lo rende uno dei cibi più pericolosi per la nostra salute.
Il latte e i latticini sono al centro di un dibattito molto serrato che vede contrapposti – anche con esagerazioni – opposti schieramenti. Da una parte tutta la nutrizionistica tradizionale esalta il valore del latte sottolineando la completezza delle proteine, l’abbondanza e biodisponibilità del calcio, la presenza di vitamine liposolubili, la gradevolezza, ecc. Dall’altra parte gli oppositori sottolineano l’anomalia di nutrirsi di latte:
- questa abitudine è limitata al mondo occidentale, ormai meno di un terzo della popolazione mondiale;
- l’uomo è l’unico mammifero che si nutre di latte dopo lo svezzamento;
- il latte è destinato ad un animale estremamente diverso dall’uomo (un erbivoro ruminante!), quindi di composizione biochimica molto differente;
- il calcio del latte è biodisponibile, ma l’acidificazione dell’organismo provocata dal latte e soprattutto dai latticini (come da molti alimenti di origine animale) impedisce che si depositi sulle ossa, anzi contribuisce all’erosione delle ossa stesse;
- la pressione fortissima dell’industria del latte, una delle più forti industrie alimentari, è in grado di intervenire direttamente e indirettamente a falsare la visione del problema da parte dell’opinione pubblica.
Molte delle ragioni degli oppositori (non tutte) hanno un fondamento di verità. Uno studio di Science, la nota rivista scientifica (Autunno 2007, vedi immagine), ha messo in evidenza quello che era già sotto gli occhi di tutti: nelle popolazioni del mondo il consumo di latte e latticini è direttamente proporzionale all’aumento dell’osteoporosi, cioè i popoli che consumano più latte hanno più osteoporosi rispetto ai popoli che ne consumano meno.
Questo dato statistico, apparentemente paradossale, conferma una serie di studi che tendono ad indicare che:
Soprattutto dopo la menopausa, latte e latticini sono un fattore di rischio per l’osteoporosi.
Da molti anni ci sono evidenze dell’intolleranza del lattosio da parte della maggior parte della popolazione mondiale. In realtà, contrariamente a quanto si credeva in passato, solo i discendenti delle popolazioni dell’Europa settentrionale – che oggi popolano l’America del Nord e parte dell’Europa centrale – oltre ad alcune popolazioni del Mediterraneo e ad un paio di popolazioni nomadi dell’Africa hanno la capacità di digerire bene il latte. Gli altri soffrono della perdita dell’enzima lattasi (cfr. per es. Scrimshaw NS, Murray EB. The acceptability of milk and milk products in populations with a high prevalence of lactose intolerance. Am J Clin Nutr 1988;48:1083).
L’intolleranza al latte provoca crampi addominali, flatulenze, diarree, ecc.
Non è sempre avvertita e, se protratta nel tempo, può giungere a forme di colite spastica o cronica. Una conseguenza di questi disordini intestinali è spesso la presenza di muco, oltre che nell’intestino, al naso e ai bronchi.
Disordini intestinali provocati dall’intolleranza al latte sono spesso alla base di altre intolleranze.
In Italia le intolleranze al lattosio si attestano quasi al 50% della popolazione (maggiori al sud, minori al nord).
A queste intolleranze, facilmente misurabili con l’analisi del respiro dopo l’assunzione di lattosio, si aggiungono i problemi legati alle caseine, le proteine del latte. Proprio sulla caseina e sulla sua pericolosità per l’origine dei tumori sono evidenziate ricerche e studi nel libro di Campbell e Campbell: The China Study (Macro Edizioni). Non condivido (Sergio Chiesa) l’estremismo della dieta del libro, ma le ricerche della prima parte sono di tutto rispetto.
L’ultimo problema, il più rilevante, è la presenza di percentuali elevate di grassi saturi. Insieme ai salumi, i formaggi sono il cibo che ne contiene di più: ad esempio il grana, la fontina, l’emmental, ecc. hanno quasi il 30% di grassi, in prevalenza saturi. Con i danni per la salute a livello di infiammazione generale e di problemi cardiocircolatori facilmente immaginabili.
POSSIAMO MANGIARE FORMAGGI?
Uno studio clamoroso, uscito nel 2004, ha aperto una nuova prospettiva, che è stata chiamata Alpine Paradox. Sono stati analizzati 40 diversi formaggi:
- 12 di origine alpina (Gstaad, in Svizzera)
- 7 di Cheddar inglese industriale
- 6 con foraggio addizionato con semi di lino
- 7 di Emmental industriale
- 8 di formaggio d’alpe con aggiunta parziale di insilati.
La conclusione inaspettata:
I formaggi prodotti con latte da mucche ad esclusivo pascolo alpino hanno un profilo di acidi grassi più favorevole che tutti gli altri tipi di formaggio. Il formaggio alpino può essere una fonte rilevante di ALA e di altri acidi grassi cardioprotettori
(Ndr: ALA: acido alfalinoleico, ad esempio come gli omega 3 dell’olio di lino)
(C.B. Hauswirth, M.R.L. Scheeder, J.H.Beer: High Ω3 Fatty Acid Content in Alpine Cheese. The Basis for an Alpine Paradox, Circulation, 2004; 109; 103-107).
In definitiva i formaggi alpini hanno quattro volte più acido linolenico del cheddar, ma anche più del doppio dei formaggi alpini con insilati e del formaggio con semi di lino; e una quantità più ridotta di Ω3 della linea infiammatoria dell‘acido arachidonico e un miglior rapporto Ω3/Ω6. In più presentavano una elevata quantità di acido linoleico coniugato, forte protettore cardiaco, e una più bassa presenza di acido palmitico. Le analisi promosse dalla nostra associazione hanno dato risultati analoghi anche per formaggi delle alpi italiane.
Al di là di questi dati tecnici, risulta chiaramente che le mucche sono “costruite” dall’evoluzione per mangiare erba di prato e non tutti gli altri foraggi con cui oggi sono alimentate in tutti gli allevamenti industriali di pianura. L’aggiunta di altri mangimi all’erba del pascolo di montagna danneggia la qualità e le proprietà del latte e dei formaggi che ne derivano. La spiegazione è probabilmente da attribuire a due fattori:
- le erbe di alta montagna, in particolare le fanerogame (erbe a fiore), oltre a dare un particolare aroma al latte, contengono una dose abbondante di Ω3 come le alghe del mare;
- la flora batterica del rumine delle mucche cambia quando sono alimentate con mangimi diversi dall’erba (insilati o anche granaglia), danneggiando la qualità del latte prodotto.
Gli unici formaggi che consigliamo, comunque con moderazione, sono quelli prodotti in alta montagna (più di 1.500 m di altitudine), meglio se in zone fredde.
Resta per ora impregiudicata la qualità di formaggi caprini e ovini di bestiame al libero pascolo con sola erba (non abbiamo ancora dati scientifici attendibili).
È difficilissimo trovare produttori anche di alta montagna che non diano mangime agli animali: la tentazione di produrre più latte è irresistibile. Ecco la testimonianza di un veterinario molto attento al problema (abbiamo omesso i nomi delle persone citate)
“Seguendo la tua richiesta, ho raccolto informazioni sulla possibilità effettiva di trovare formaggio prodotto con latte di animali nutriti solamente con erba e fieno. Il direttore del caseificio di XXXX, che annovera 30 conferenti, mi ha risposto quasi sarcastico dicendomi che una simile alimentazione farebbe crollare la produzione a 12-13 quintali all’anno per capo. Non è ovviamente vero, giacché se ne riuscirebbe invece a produrre almeno 25-30, come ammesso anche dal direttore del caseificio di YYY (che al momento conta 6 conferenti). Sono andato anche alla latteria di ZZZ), ma non ho trovato persone che sapessero l’italiano abbastanza bene. Parlando con gli allevatori, risulta chiaro il fatto che
dopo anni di indottrinamento da parte delle loro associazioni di categoria e degli enti di promozione delle varie razze, la massimizzazione della produzione è diventata un dogma
né più né meno di quanto avviene con la crescita in economia. Come in moltissimi altri campi, insomma, ci troviamo anche qui di fronte alla necessità di promuovere una cultura della qualità che riduca l’importanza del dogma della quantità. Secondo una corretta impostazione metodologica, dobbiamo riconoscerci ancora nella fase di sensibilizzazione. Di conseguenza, ogni proposta esterna appare una minaccia ai sacri dogmi. È dunque necessario far ragionare le persone e lasciare che siano loro a far emergere alcuni punti qualificanti. Il primo di questi, condiviso da molti allevatori, è che
un animale nutrito solo di erba e fieno ha una vita produttiva all’incirca doppia rispetto a uno forzato con i mangimi.
Bisogna poi considerare il risparmio in farine (con l’aumento del prezzo dei cereali, sono aumentate anche queste), farmaci (perché tali bovini sono meno stressati) e perdite dovute ai calori silenti (che si manifestano spesso in vacche allevate in modo poco naturale). Anche gli animali stessi costerebbero molto meno, visto che non ci sarebbe bisogno di comprarne di alta genealogia e, essendo meno specializzati per la produzione lattea, sarebbero anche più robusti (soprattutto nelle condizioni di alpeggio). I loro vitelli, infine, proprio perché meno “magri esoftalmici” (caratteristica delle superproduttrici), sarebbero più facilmente ingrassabili (ad esempio, nel caso siano maschi). Come vedi, gli spunti di riflessione non mancano”.
Queste osservazioni mettono in luce la difficoltà a individuare allevatori che ottengono il latte solo da mucche alimentate con erba di pascolo, ma esistono!
Dato che siamo convinti che sia meglio mangiare poco formaggio ma di qualità, per non rinunciare a questo prelibato alimento e per sostenere l’attività di allevatori che sono tornati alle pratiche tradizionali, segnaliamo su questo sito gli indirizzi che abbiamo scoperto o i cambiamenti che abbiamo stimolato.
L’Associazione Cibo è Salute ha infatti avviato una sperimentazione di fontina prodotta solo con erba di pascolo sopra i 2.000 metri a Champillon (comune di Doues) in Val d’Aosta. Le analisi hanno evidenziato una qualità analoga a quello dello studio sopracitato.
Ripeteremo le analisi con altri formaggi fatti in analoghe condizioni: formaggi dell’Ossola (Bettelmat in primis), Bitto delle Antiche Valli, tome valsesiane di qualità (questi formaggi sono disponibili per la prenotazione: vedi informazioni sotto).
La condizione che poniamo per segnalare i produttori di formaggi in questa pagina del nostro sito (conduciamo analisi random per controllarne la qualità) è:
L’impegno da parte dei produttori di non aggiungere mangimi al foraggio degli animali al pascolo sopra i 1.500 metri: un impegno dichiarato e sottoscritto.
L’Associazione Cibo è Salute e i suoi membri non ricevono alcun guadagno economico legato alle indicazioni che fornite in queste pagine. Le indicazioni sono offerte nello stile dell’associazione, cioè a titolo di volontariato e di servizio gratuito.
COME PRENOTARE I FORMAGGI
Tutti i formaggi sono prodotti nei mesi di luglio e agosto ai pascoli alti.
Prenotazioni in genere entro il 30 giugno. I pagamenti saranno effettuati al ritiro.
La pezzatura potrà essere solo a forma intera o a mezza forma (eventualmente unitevi ad altri se avete necessità di dividere ulteriormente in modo indipendente dal produttore).
- Bettelmatt (prodotto in zona tipica sopra i 2.000 m. presso l’Alpe Forno all’Alpe Devero): forme di 4-6 kg € 21 (disponibile per la consegna da novembre)
- Crampiolo Alpbrun (prodotto sopra i 1.500 m all’Alpe Devero e a Crampiolo con latte intero): forme di 4-5 kg € 16 (disponibile per la consegna da agosto)
- Toma Alpbrun (prodotto sopra i 1.500 m all’Alpe Devero e a Crampiolo con latte parzialmente scremato): forme di 4-5 kg € 14 (disponibile per la consegna da agosto)
La consegna avverrà:
- a Novara presso il Gruppo di Acquisto Solidale (GAS) “Il Girasole”
- oppure direttamente alla fonte presso Alpbrun a Premia (VB) contattando in anticipo Marzia (Tel. 347.718 78 69).
- Formaggio intero dell’Alpe Veglia (Azienda Agricola Giuseppe De Giuli): prodotto sopra i 1.600 metri in località fredda (quindi con più Ω3).
Forme di circa 4 kg (venduto anche in pezzature inferiori). Prezzo 14-16 €, a seconda della stagionatura (telefonare prima. Referente: Silke Derlien 333 53 70 989). Non è necessaria la prenotazione del formaggio. Può essere ritirato a Crevoladossola (VB) dopo i primi di dicembre. - Formaggio intero dell’Alpe Veglia (Azienda Agricola Adolfo Zanola): prodotto sopra i 1.600 metri in località fredda (quindi con più Ω3).
Forme di circa 4 kg (è venduto anche in pezzature inferiori). Prezzo 12-13 € circa, a seconda della stagionatura (telefonare prima: Cell. 333 644 27 45 – Tel. 0324 72 313: il telefono fisso è utilizzabile solo da ottobre a maggio, prima del pascolo). Normalmente questo formaggio è disponibile dopo i primi di dicembre e fino a marzo: può essere ritirato a Varzo (VB) Via san Domenico 37.
La stessa azienda agricola produce anche un formaggio tipo toma, semigrasso, sempre con erba di pascolo o fieno, senza mangimi, al prezzo di circa 10 € al chilo.
- Fontina di Champillon (DOC della Val d’Aosta prodotta sopra i 2.000 metri): forme di 8-9 kg € 13 (disponibile per la consegna da inizio gennaio: minima stagionatura per legge).
- Bitto storico delle Valli del Bitto, un consorzio di produttori che opera nella zona tipica degli antichi alpeggi del Bitto. Da non confondere con il normale Bitto fatto in bassa Valtellina, al di fuori delle antiche valli. Per questo formaggio contattare direttamente i produttori: www.formaggiobitto.com
Altri indirizzi potranno essere aggiunti anche attraverso le vostre segnalazioni e i nostri controlli.